Ego Gaia

19 Giugno 2025

Attraversando spesso piazza Venezia e dintorni, dalle parti del Foro e della Colonna Traiana, è usuale vedere le zone archeologiche trasformate in set fotografici per matrimoni. E’ giusto, quale sf...

Attraversando spesso piazza Venezia e dintorni, dalle parti del Foro e della Colonna Traiana, è usuale vedere le zone archeologiche trasformate in set fotografici per matrimoni. E’ giusto, quale sfondo migliore della immutabile Città Eterna e delle sue vestigia? Forse gli sposi, anche inconsciamente, vogliono agganciarsi a quella eternità artistica, al concetto davvero astratto di durata nel tempo e, chissà, anche oltre. Gli abiti delle spose sono sontuosi come dame del Seicento, oppure ridotti al minimo, da discoteca, altro omaggio al trascorrere delle epoche storiche.
Quando mi sposai avevo un abito di pizzo e fiori bianchi tra i capelli. Mi mancava la mia mamma, è a questo che pensai tutto il tempo. Mio marito era confuso, rideva e scherzava con gli amici, mentre io cercavo di non piangere per non distruggere il bellissimo trucco.
All’improvviso ebbi un flash mentale, il ricordo di qualcosa che avevo fatto in un lontano passato. Ma forse era solo una sovrapposizione di emozioni e conoscenze, dal momento che mi ero da poco laureata in Archeologia classica. Eppure quel giorno di settembre vidi me, proprio me mentre mi infilavo al dito un anello di ferro rivestito d’oro, dono dell’uomo che avrei sposato. Aulo Gellio aveva stabilito, nella sua scienza immaginaria, l’esistenza di un nervo che partiva dal dito anulare e arrivava direttamente al cuore. Mi vedevo come una ragazza della Roma repubblicana. I miei capelli erano acconciati con una rete rossa, indossavo una tunica senza orli, con una cintura di lana stretta alla vita da un doppio nodo. Sui miei capelli splendeva il flammeus, un velo arancione con una corona di mirto e fiori d’arancio. Gli dei avevano dato un oracolo favorevole al mio matrimonio e anche io diedi il consenso alla fusione della mia esistenza con un’altra persona dicendo :” Ubi tu Gaius, ego Gaia”.
Gli amici rispondevano con una acclamazione augurale:”Feliciter!”
A quel punto del mio sogno ipnotico arrivò mia zia.
– Tesoro, che hai? A che pensi?
– A niente, risposi
– Quanto sei bella, tesoro mio!
– Sì, ma non sei la mia mamma, pensai.
La mia dolcissima zia mi sistemò l’abito, i fiori e mi fece cenno di raggiungere mio marito.
Lui ed io ci guardammo con gli occhi pieni di lacrime, decisi a provare.
Perchè, allora come ora, con abiti, ambienti, pensieri e situazioni diverse, solo una cosa si può promettere: lealtà.
Nei giorni seguenti tinsi di castano i miei capelli rossi come quelli della mamma, cercando sempre e comunque di gestire quel terribile distacco conosciuto e sofferto dalle donne di ogni età, epoca o cultura.