LAVORI IN CORSO

20 Marzo 2015

Spesso qualcuno che non vedo da tempo mi chiede :"Che stai facendo di bello? Scrivi?" E' una domanda che quasi sempre mi crea imbarazzo.  Presuppone che per me qualcosa di bello sia assolutamente co...

Spesso qualcuno che non vedo da tempo mi chiede :”Che stai facendo di bello? Scrivi?” E’ una domanda che quasi sempre mi crea imbarazzo.  Presuppone che per me qualcosa di bello sia assolutamente connesso alla scrittura  e che io sia sempre disposta a raccontare i miei progetti.  Se cerco di deviare l’attenzione su altri argomenti, la richiesta si fa più pressante:” Ma che stai scrivendo esattamente?”  Ecco, questa è una forma di violenza che mi disturba e da cui non riesco a difendermi mantenendo la calma. E’ un tentativo di entrare nel privato strettissimo, nell’intimo segreto di un’anima. Ciò che è in fieri non può essere raccontato, perché di una  tale delicatezza e fragilità che soffre e si deteriora se sottoposto al giudizio altrui. Sarebbe come portare un neonato a un raduno rave.  Chi scrive è piuttosto sensibile e molto attento alle sfumature:  uno sguardo, un movimento della mano,  una parola incauta potrebbero essere intesi come una condanna dell’opera in corso che sarebbe accantonata con disperazione. A me è capitato qualche volta, grazie alle devastanti esternazioni di un amico regista,  e cerco di difendermi aggirando l’ostacolo o chiudendomi  in un silenzio irritante e irritato. Leggevo in un’intervista che Jennifer Aniston è spesso tormentata da chi le chiede se ama ancora Brad Pitt, se ha intenzione di sposarsi e se è incinta. Lei risponde con il suo sorriso da bambina:” Al momento sto lavorando sulla mia felicità” Ho pensato che questa è una risposta straordinaria e che avrei potuto usarla per tener lontano i ficcanaso distruttivi, ma…
– Cosa stai facendo?
– Sto lavorando alla mia felicità
– Ma scrivi?
– Sto cercando di essere felice e positiva
– Non vuoi dirlo come al solito?
– E’ la verità. Non si può lavorare alla propria felicità?
– Ah sei in crisi creativa. Mi dispiace per te. …

E in fondo è un buon risultato perché per un po’ nessuno mi chiederà più niente.

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