metamorfosi

6 Aprile 2025

Un tempo in Abruzzo le case erano fatte così: su un lato c'era la vista infinita sui monti azzurrini, i campi color ocra che digradavano fino a piccoli corsi d'acqua adatti ai giochi dei bambini di c...

Un tempo in Abruzzo le case erano fatte così: su un lato c’era la vista infinita sui monti azzurrini, i campi color ocra che digradavano fino a piccoli corsi d’acqua adatti ai giochi dei bambini di città, qualche piccola chiesa bianca che con le sue campane scandiva il tempo del giorno, dell’anno e della vita.
Sul lato opposto si era a pochi metri di distanza da un’altra casa, di cui si conoscevano a memoria le crepe del muro, i richiami, i litigi e le dolcezze, rare, della famiglia che la abitava.
Si parlava con la gente, si condivideva tutto, si facevano accurate previsioni sugli amori e sul tempo, si guardavano le mucche attraversare il paese di notte in transumanza, si appendevano drappi alle finestre per il passaggio della Santa Vergine accompagnata dalla banda musicale. Nello spazio di pochi anni tutto è cambiato. Tende, doppi vetri, veneziane, serrande automatiche. Tutto si è chiuso all’esterno e con nostalgia il mio sguardo si posa sul piccolo giardino interno, il suo albero di noci e la grotta dove si appendevano i salumi ad essicare. Da lì guardavo la bellissima terrazza sospesa tra cielo e terra di Eleonora, un’amica della nonna, traboccante di rose e dalie. Il giorno dei morti Eleonora mi regalava i fiori da portare al cimitero “per chi non ha nulla” e che io lanciavo a caso tra le tombe, senza preferenze. Ora c’è un’enorme tenda verde che copre uno spazio dove si griglia carne a montagne. Eleonora ha venduto la sua casa leggendaria e si è ritirata altrove, forse in Paradiso.
Il cuore rallenta davanti a queste trasformazioni, non si riconosce nel cemento colorato con cui hanno riparato le crepe, nelle barriere che impediscono uno scambio di luci e informazioni affettuose.
Vado in Abruzzo solo quando ho bisogno di solitudine, per lavorare a qualche progetto o per stare in pace a elaborare qualche inciampo esistenziale.
Il silenzio mi pesa e accendo il grande camino dell’enorme cucina dove si mangiava in tanti e si poteva conversare fino a tardi, suonare, cantare e ballare.
Eppure, dopo poco che sono lì, sento bussare alla porta, un suono antico e gentile.
E’ Teresa, amica d’infanzia, oggi medico nel vicino ospedale. Il suo sguardo da scienziata ha colto qualche piccolo segno della mia presenza. Lei entra e io apro le tende, le finestre sui monti, la porta sul giardino.
Ci prepariamo la cena, aggiungiamo legna al camino, tra ricordi e risate.
Perchè la vita è un eterno presente, che ti fa ridere e cucinare, anche se ti spezza il cuore.