Sliding doors

2 Dicembre 2021

La prima volta che partii per la Spagna da sola, fu per cercare mio padre, una ricerca psicologica attraverso i luoghi e le esperienze che ci erano piaciuti quando viaggiavamo insieme. Lui adorava la ...

La prima volta che partii per la Spagna da sola, fu per cercare mio padre, una ricerca psicologica attraverso i luoghi e le esperienze che ci erano piaciuti quando viaggiavamo insieme. Lui adorava la lingua e la letteratura spagnola e, poichè ero piccola, mi leggeva Platero y yo, un capolavoro di dolcezza e musicalità.
Avevo appena terminato l’Università e non sapevo cosa fare, mi sentivo sola a confusa. Arrivai ad Alicante con l’idea di prendere un traghetto qualsiasi per le isole Canarie, dove mi aspettavano gli amici di papà, ma mi attirò una piccola nave con un nome strano, Ter. Era un’imbarcazione da carico che accoglieva un numero limitato di passeggeri senza fretta. Infatti, per arrivare dal punto A (Alicante) al punto Z (Gran Canaria) si doveva passare per tutte le lettere dell’alfabeto. Non era un problema per me navigare per tanto tempo, avevo davanti tutta l’estate.

L’equipaggio di giorno era quasi invisibile, solo al tramonto qualcuno veniva sul ponte. Erano quasi tutti greci e il capitano adorava l’Odissea di Omero. Guardando il mare mormorava quei versi meravigliosi sull’amore, il ritorno, la nostalgia. Anche io li conoscevo e una sera li recitai con lui. Da quel giorno ebbi una cabina speciale, cibo su richiesta e lezioni di navigazione. Su quella piccola nave il tempo era scandito dal rumore dei motori, si passava il tempo a chiacchierare, giocare, leggere, scrivere, mentre in lontananza si percepivano le coste abitate luminescenti fino all’alba. Quando il Ter si fermava, scaricava casse misteriose, aspettava che noi passeggeri facessimo un giro turistico e poi ripartiva. Un idillio. Una notte, però, entrammo in una tempesta spaventosa, con ondate e raffiche di vento che facevano inclinare la nave in tutte le sue parti. Si poteva solo aspettare la morte aggrappati a qualcosa, mentre tutto intorno volava e si spaccava. L’incanto era finito e la mattina seguente scesi dal Ter, mentre il capitano mi urlava dietro che chi amava Ulisse non doveva temere le situazioni difficili.
Quello fu l’inizio di un’estate lunga e meravigliosa in cui imparai a parlare spagnolo, a suonare la chitarra e il timple, a nuotare per lunghi tratti di mare senza paura, a divertirmi giorno e notte. Quel clima dolcissimo, le amicizie, la totale libertà di quando non si ha nessuna responsabilità, erano tutti elementi che mi avevano convinto a restare per moltissimo tempo ancora. Invece una mattina mia zia telefonò per dirmi che l’Università mi aveva assegnato una borsa di studio per una missione archeologica italiana in Egitto di due anni. Fare l’archeologa sul serio e non in biblioteca era stato sempre il mio sogno, anche se all’improvviso mi appariva estraneo. Eppure lasciai che le porte del paradiso si chiudessero dietro di me che tornavo a Roma. Forse, se avessi ascoltato il consiglio del capitano, ora la mia vita sarebbe completamente diversa. Chissà…